Interpello n.6/2018 lavoro intermittente e prestazioni di lavoro straordinario
Il decreto numero 66 dell’8 aprile 2003, pubblicato in Gu n. 87 del 14 aprile 2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Gu n. 87 del 14 aprile 2003”), disciplina il concetto del lavoro straordinario inquadrandolo all’interno della definizione di legge di orario di lavoro settimanale.
In particolare, il provvedimento del 2003 stabilisce che si intende lavoro straordinario quello effettuato nelle ore eccedenti il normale orario settimanale come concordato tra le parti o dai contratti collettivi di lavoro, senza che vi siano riferimenti in realtà a quello che rappresenta l’orario lavorativo giornaliero.
In proposito è stata presentata al Ministero del Lavoro una richiesta di chiarimenti relativamente alla possibilità di non applicare le misure attribuite al lavoro straordinario, relative agli aspetti economici e normativi, per i contratti di tipo intermittente e nello specifico per le attività di lavoro a chiamata ove il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro con obbligo di risposta e di intervento. Obiettivo della richiesta è di sapere se, nell’ipotesi di lavoro a chiamata, sia possibile erogare unicamente la retribuzione prevista per la prestazione svolta come se si fosse in regime di orario ordinario di lavoro e non anche la maggiorazione per lavoro straordinario.
Il quesito è stato affrontato dal Ministero del Lavoro nell’interpello n.6/2018. In discendenza del citato decreto n. 66 del 2003, la Commissione richiama quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, punto a), che dispone come definizione di orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, indipendentemente quindi dalla collocazione ove la prestazione venga erogata e dalla sede effettiva dell’attività. In tale senso è da considerarsi all’interno dell’orario di lavoro normale, un qualsiasi soggetto che presti la sua attività anche solo rimanendo a disposizione del datore di Lavoro, con le dovute eccezioni e deroghe quali quelle ad esempio previste dall’elenco dei soggetti di cui agli articoli 2 e 16 del medesimo decreto legislativo n. 66 del 2003.
In aggiunta questo quadro normativo, come evidenziato dalla stessa risposta della commissione, l’articolo 17 del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, pubblicato in Gu n.144 del 24 giugno 2015, entra nello specifico caso del lavoro a chiamata, disponendo in proposito che la retribuzione da riconoscere al lavoratore a chiamata non debba essere inferiore rispetto a quella riconosciuta al lavoratore di pari livello con contratto non intermittente.
La risposta della Commissione Ministeriale sottolinea come per sua stessa natura le attività a chiamata debbano poter prevedere una impostazione dell’orario lavorativo di tipo flessibile e modulabile, e di conseguenza, come già disposto in passato dalla lettera circolare numero 4 del 2005 del Ministero del Lavoro, non è possibile imporre maggiore rigidità a questa tipologia di prestazione, sia in termini di orario che di collocazione, poiché farlo pregiudicherebbe l’efficienza e la finalità della prestazione stessa.
Come risultato di tali presupposti la Commissione ritiene dovuto precisare che l’esigenza lavorativa di dover attivare un contratto con modalità di intermittenza a chiamata, non permette al datore di Lavoro di evitare di applicare le misure di retribuzione aggiuntiva dovuta in caso di prestazioni erogate in eccedenza rispetto alle ore settimanali concordate, indipendentemente dal luogo ove tali attività vengano erogate, e includendo tra queste anche la disponibilità e l’obbligo di risposta del lavoratore.